Saverio Marra: la fotografia come testimonianza storica

Quando si parla di fotografia calabrese bisogna fare riferimento alla figura di Saverio Marra, fotografo molto attivo nei territori silani durante la prima metà del secolo scorso. Tra le circa duemilacinquecento lastre fotografiche realizzate da Saverio Marra, conservate e in parte esposte nel Museo Demologico di San Giovanni in Fiore, emerge uno spaccato calabrese della prima metà del Novecento in cui è possibile conoscere usi e costumi della comunità sangiovannese. Tra i numerosi avvenimenti raccontati e immortalati attraverso la macchina fotografica di Marra trova spazio anche la morte. In queste scene possiamo vedere, attraverso una corretta lettura storica delle lastre fotografiche, l’atteggiamento che la comunità di San Giovanni in Fiore possedeva dinanzi la morte.

Saverio Marra e la fotografia Post mortem

Ritratto di Saverio Marra

Il modo di approcciarsi e di intendere il sonno eterno da parte dell’uomo è cambiato, questo è innegabile, cambiamenti che sono più evidenti e rappresentabili come profondi strappi se si considera il lungo periodo. In questo breve articolo osserveremo e analizzeremo, attraverso le fotografie di Saverio Marra, l’atteggiamento della comunità sangiovannese dinanzi la morte. Prima di illustrare quale bisogno sociale portava a commissionare dei ritratti post mortem al fotografo Saverio Marra, occorre illustrare il contesto socio-economico in cui si trovava San Giovanni in Fiore, e aprire inoltre una piccola parentesi sulla scena fotografica italiana. Tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento sorge il bisogno di dover legittimare la fotografia come arte, considerata la forte democratizzazione che la disciplina stava subendo, vista anche la forte crescita dell’industria chimica e ottica, settori strettamente collegati all’ambito fotografico. Mentre l’Italia settentrionale esprimeva una fotografia di matrice pittorialista, in cui si riproducevano quadri famosi, come emerge dagli scatti di Guido Rey, si può notare infatti come la disciplina fotografica fosse mossa da tendenze borghesi. Nel centro silano Saverio Marra subirà sì l’effetto della società sul suo modus operandi, ma non di quella borghesia che voleva legittimare la fotografia come arte, ma di quello spaccato popolare e contadino a cui apparteneva e voleva dare voce attraverso la lente del suo obiettivo. Il fotografo silano assimila comunque i modelli culturali degli strati sociali più agiati, per poi dare voce a una classe popolare emarginata politicamente e socialmente, afflitta dal fenomeno dell’emigrazione. La fotografia di Marra dunque può essere considerata come appartenente al genere della straight photography, tendenza in netta opposizione allo stile pittorialista. Nella fotografia diretta emerge un forte grado documentaristico, atto a volere raccontare obiettivamente la società e i suoi avvenimenti. In questo genere fotografico scompaiono infatti gli artefatti presenti nella fotografia pittorialista, che allontanavano la disciplina dall’oggettività propria del genere della straight photography. Se in America Alfred Stieglitz realizza il Ponte di terza classe, in un piccolo paese dell’entroterra calabrese Saverio Marra realizza fotografie che raccontano le storie di chi partiva, e di chi mandava ricordi e testimonianze in America ai propri cari che provavano a sbarcare il lunario. Dopo aver analizzato il contesto socio-culturale in cui si va a inserire il corpus fotografico di Marra, bisogna considerare l’aspetto socio-culturale in cui si trovava la comunità sangiovannese. Come già detto, San Giovanni in Fiore presenta un tasso elevato di emigrazione, e la figura di Marra fotografo gioca in questo contesto un ruolo centrale. Infatti, oltre a realizzare le fotografie per i documenti necessari alla partenza, vi è da considerare anche il desiderio di testimonianza da parte dei parenti di coloro che erano partiti, e quindi il doversi rivolgere a Marra affinché testimoniasse attraverso i suoi strumenti ciò che avveniva nella comunità silana. Alla base quindi delle fotografie di Marra si trova il desiderio di mantenere vive le relazioni con i propri cari emigrati. Se si considera infatti, lo scarso grado d’istruzione della comunità silana e il ruolo centrale occupato dal potere dello sguardo, si può affermare che il mezzo della fotografia rappresenta al meglio e con un grado oggettivo assoluto ciò che si voleva comunicare. La fotografia come mezzo di comunicazione in virtù del suo realismo riesce a fornire una testimonianza oggettiva dovuta alla lettura dei numerosi simboli presenti nel ritratto, quindi chi riceveva la fotografia poteva vedere come gli usi e i costumi erano stati rispettati, oltre a dare un senso alla sua partenza, attraverso appunto il rispetto delle usanze sangiovannesi dei cari rimasti nel Vecchio Continente. Grazie alle fotografie spedite oltreoceano, l’emigrato può dunque continuare a mantenere vivi i legami con i propri cari in terra calabrese, il soggiorno nel continente americano è reso dunque meno duro attraverso la visione delle fotografie. Prima di arrivare alla delucidazione per quanto concerne il commissionamento delle fotografie post mortem, bisogna anche trattare il bisogno di testimoniare particolari giorni della vita di chi abitava le vie sangiovannesi. Nelle fotografie di matrimonio, non vi è solo la rappresentazione della gioia del momento, ma anche il passaggio da uno stato civile a un altro, da celibe e nubile a impegnati in nozze; oltre questo passaggio di stato la fotografia può essere vista come il sigillo tra l’alleanza di due famiglie unite dal sacro vincolo del matrimonio dei rispettivi figli. Oltre le fotografie di matrimonio, si possono vedere ritratte giovani ragazze che indossano per la prima volta il vestito tradizionale, in cui è chiaro il passaggio da ragazza a donna, oppure giovani ragazzi ritratti in divisa a voler segnare il passaggio da una classe sociale a un’altra.

Perché fotografie post mortem?

Dopo aver analizzato e inquadrato per quanto possibile parte del corpus fotografico di Saverio Marra, è giunto il momento di trattare la fotografia post mortem. Chi guardava queste fotografie poteva immaginare come i familiari avessero compiuto le fasi del rito funebre e quindi assicurato al defunto un piacevole trapasso, e quindi evitato il ritorno nella terra dei vivi come valore malevolo. Questo genere di fotografia può essere considerato anch’esso come raffigurante un passaggio di stato, soprattutto se si pensa alla posizione verticale della bara contenente al proprio interno il corpo esanime, postura propria dei vivi. Il defunto quindi è fotografato come una persona viva, anche se ormai non più appartenente al regno dei vivi, il caro ormai estinto però non fa parte ancora pienamente del regno dei morti in quanto risponde ancora alla legge di coloro che sono rimasti in vita, annullando il confine tra la vita e la morte, permettendo dunque il passaggio dalla morte biologica alla morte culturale e il conseguente ritorno interiorizzato sotto forma di valore benevolo. 

È proprio in questo complesso sistema di metafore che vanno lette e analizzate le lastre fotografiche di Saverio Marra.
Parte del suo corpus fotografico si trova presso il Museo demologico di San Giovanni in Fiore, qui maggiori informazioni.